giovedì 6 novembre 2014

De Artis Immortalitate

Ogni tanto mi piace fare l'acculturata. Non che lo sia (forse lo ero, appena finito il liceo classico, o almeno ne ero convinta...), ma ogni tanto mi piace darmi un tono. Oggi è una di quelle giornate.

Ho finito ieri sera di leggere il Coriolano di Shakespeare, un'opera che mi ero ripromessa di leggere pian piano, mediandoci sopra, e che invece mi ha preso (nonostante conoscessi già la storia) a tal punto che l'ho sbranata in cinque ore filate.
E' una tragedia coinvolgente e attuale, come del resto tutti i grandi classici, giustamente descritta in uno splendido commento [qui il link se volete leggere qualcuno di più acculturato di me...] "la tragedia del Valore" perchè il vizio di Coriolano è anche la sua più grande virtù: il suo straordinario valore e la sua integrità morale, condensati nel termine latino virtus, che ha entrambe le accezioni (nella mentalità greca e romana era semplicemente inconcepibile che una persona virtuosa in pace non fosse anche valorosa in guerra e viceversa, e, anzi, permettetemi di sostituire il neutro "persona" con il maschile: l'uomo VIRtuoso e valoroso è proprio detto vir in latino, termine distinto dal generico homo...).

Il Coriolano è un dramma giustamente definito politico (e, lo ripeto, di grande attualità, non solo nel 1608 ma anche e oserei dire soprattutto oggi) ma anche in larga parte umano, una tragedia che mette in scena il conflitto intrinseco in ogni figura pubblica, cosa significa servire ricoprendo una carica pubblica, e il contrasto interiore tra integrità personale e popolarità (parole dell'attore che l'ha portato in scena nella sua ultima versione teatrale), e il protagonista è tratteggiato magistralmente: impossibile non appassionarmi a questo capolavoro, che consiglio a chiunque abbia cinque ore da spendere.

Ci ho messo un po' a raggiungere questa consapevolezza, molte volte le opere antiche mentre le studiavo mi sono apparse antiquate, magari anche piacevoli in se stesse (ho letto due volte l'Iliade per conto mio e mi ha sempre appassionato) ma pur sempre irrimediabilmente confinate nell'epoca che le ha prodotte, mentre ora le guardo in modo diverso, guardo al classico come i miei professori avrebbero sempre voluto che lo guardassi: non come un punto d'arrivo, ma come un punto di partenza.

Non ho la pretesa di considerarmi un'Artista, non ancora, perlomeno, ma stando a stretto contatto con una community di artisti estremamente viva, effervescente e prolifica come DeviantArt ho modo di confrontarmi ogni giorno con concezioni dell'arte (antica o moderna, professionale o amatoriale, "maggiore" o "minore", secondo l'orribile classificazione tradizionale) diverse dalla mia, e tutte stimolanti.

Io ho sempre considerato il copyright e la proprietà intellettuale come qualcosa di sacrosanto, uno dei pochissimi dogmi da mantenere saldi comunque vada tutto il resto, e le opere d'arte - una volta prodotte - roba da musei o da collezione, qualcosa da chiudere in una teca e cristallizzare lì e allora, il punto di arrivo di un processo artistico, e in alcuni casi la sintesi di un'epoca, qualcosa che nessuno, nemmeno l'artista stesso, dovrebbe o potrebbe rimaneggiare.

Poi mi imbatto in questa splendida immagine, che si lega benissimo al Coriolano, a Shakespeare, alle immagini che mi ha evocato e alle mie personali riflessioni, e penso che non è così, che un'opera d'Arte come il Giuramento degli Orazi di J.L. David non è affatto un punto d'arrivo, ma il punto di partenza per mille elaborazioni successive:

[Le Serment des Horaces, di Eyardt (link alla sua pagina DeviantArt)]

Sono sicura che a JL David quest'opera apparirebbe come un sacrilegio e una profanazione, ma ben venga questa profanazione, ben venga ogni reinterpretazione, stravolgimento, rilettura, o emulazione del cosiddetto "classico" perchè questo a ben pensarci è lo spirito dell'Arte, e in fin dei conti la vera ragione della sua immortalità.