Amo le coincidenze. Non ho ancora
ben deciso se considerarle come tali, o se pensare piuttosto che si tratti di
segni del destino, ma di certo mi piace notarle, prenderle in considerazione e
possibilmente agire di conseguenza.
Stavolta la coincidenza che innesca
la mia riflessione (lo so, è vero, rifletto su tutto, che persona noiosa che
sono… ;P ma pensatela così, magari in un futuro non troppo lontano saremo
pagati per pensare, e io mi sto solo allenando a diventare la donna più ricca
del mondo! ^^) è che per un’intera settimana io e mia madre abbiamo letto libri
diversi, apprezzando ciascuna il proprio e per questo consigliandoceli a vicenda
(ma guardandoci bene dal seguire il suggerimento l’una dell’altra) sullo stesso
argomento.
Lei un pamphlet sui diritti e le libertà dell’individuo, sulla bioetica e
l’eutanasia, io un capolavoro di saggio intitolato “Metallica e filosofia” dall’eloquente
sottotitolo “Libertà, autenticità ed etica: dal rock un invito a pensare”, dove
ampio spazio è dedicato proprio ai concetti di libertà e valore della vita,
dalla pena di morte, al suicidio all’eutanasia.
Ora, che ve ne frega a voi, che
magari siete in vacanza e vi godete la spiaggia, di eutanasia e dibattiti sulla
libertà individuale? Vi capisco, e fortunatamente, a proposito di libertà,
siete ancora liberissimi di chiudere il blog, saltare il post e tornare al
vostro drink, non vi biasimerò certo per questo, ma permettete, vi prego, a me
che ne ho voglia di rimanere qui a rifletterci un po’ su… =)
La domanda di fondo, quella che
regge di fatto ogni singola pagina dei libri che io e mia madre abbiamo letto, è
una sola, apparentemente semplice e in realtà dannatamente complicata:
Qual è il valore di una vita umana?
Ho letto entrambi i libri, ma
partirò da ciò che mi è più familiare, i Metallica. La scelta non è così
scriteriata come appare perché da fan vi posso dire che i ‘tallica hanno
dedicato trent’anni di onorata carriera ad approfondire questo tema, affrontandolo
da diversi punti di vista.
Fade to
Black ci dice che la vita ad un certo punto, per motivi che James volutamente
non esplicita, può perdere il senso che prima ci sembrava avesse (“Life, it
seems, will fade away / drifting further every day / […] I have lost the will to live / Simply nothing more to give / There is
nothing more for me / Need the end to set me free” [La vita, sembra, sfumerà
via / scivolando più lontano giorno dopo giorno / […] Ho perso la
voglia di vivere / Semplicemente non ho più niente da dare / Non c’è più niente
per me / Ho bisogno della fine per liberarmi]) e Cyanide rincara la dose (“Suicide, I've already died / You're just
the funeral I've been waiting for / Cyanide, living dead inside / Break this
empty shell forevermore” [Suicidio, sono già morto / Sei soltanto il funerale
che sto aspettando / Cianuro, sono vivo ma morto dentro / Spezza questo guscio
vuoto una volta per tutte].
Disposable
Heroes ci dice che addirittura per qualcuno la nostra vita potrebbe non
avere mai avuto un valore (“Soldier boy, made of clay / Now an empty shell / Twenty
one, only son / But he served us well / Bred to kill, not to care / Just do as
we say / Finished here, Greeting Death / He's yours to take away” [Soldato
ragazzino, fatto d’argilla / Ora un guscio vuoto / Ventun anni, figlio unico /
Ma ci ha servito bene / Cresciuto per uccidere senza pensarci su / Fai solo quello
che ti diciamo / Finito qui, a incontrare la Morte / E’ vostro da portar via]).
In Master of Puppets scopriamo che a volte siamo noi stessi, in balia
di una dipendenza da cui siamo inevitabilmente dominati, a svuotare la nostra
vita di significato e valore, trasformandola nel puro e semplice conto dei
giorni che mancano alla morte (“Neverending maze, drift on numbered days / now
your life is out of season” [Labirinto senza fine, vai alla deriva coi giorni
contati /Ormai la tua vita è fuori stagione]).
Ma questo era solo riscaldamento, la
riflessione è appena iniziata, in fondo finora si è trattato di situazioni (a
parte forse la guerra) in cui una persona può SCEGLIERE che valore dare alla
propria vita, se continuare a vivere oppure cercare sollievo nella morte, ma
più difficile (e moralmente interessante…) è il caso di tutte quelle persone
che non hanno alcuna possibilità di esprimere un parere sulla propria vita, per
la cui tutela devono necessariamente dipendere da altri: bambini non ancora
nati, embrioni in provetta e persone in coma.
Non mi risulta che i Metallica
abbiano mai parlato di aborto, ma di eutanasia sì, e l’hanno fatto in un pezzo
che secondo me si guadagna di diritto un posto in prima classe nella lista dei
dieci titoli da salvare assolutamente per i posteri in caso di estinzione dell’umanità.
E’ una canzone che non smette di
darmi i brividi, e che mi procura dieci centimetri buoni di pelle d’oca anche
se suonata in pieno luglio ad un concerto con trentacinquemila persone e
trentotto gradi all’ombra: One.
One ci angoscia
perché ci pone di fronte ad una condizione giustamente descritta come
infernale, quella di un soldato che in seguito all’esplosione di una mina si
ritrova non solo privato degli arti, ma cieco, sordo, muto, e pertanto
completamente scollegato dal resto del mondo (“Now the world is gone, I’m just
one” [Ora il mondo se ne è andato, sono rimasto solo]), dichiarato (a torto!) dai
medici irreversibilmente un vegetale, incapace di provare emozioni, formulare
pensieri o avere percezioni fisiche.
In questa atroce condizione di non
vita e non morte (“Darkness / Imprisoning me / All that I see / Absolute horror / I cannot live / I cannot die
/ Trapped in myself / Body my holding cell” [Oscurità / Che mi imprigiona / Tutto
quello che vedo / Orrore assoluto / Non posso vivere / Non posso morire / Intrappolato
in me stesso / Il mio corpo è la mia prigione]) il soldato implora la morte
come liberazione dall’inferno di sofferenza in cui è costretto: “Fed through the tube that sticks in
me / Just like a wartime novelty / Tied to machines that make me be / Cut this life
off from me / Hold my breath as I wish for death / Oh, please, God, help me”
[Alimentato dal tubo che ho infilato dentro / Come una novità del tempo di guerra
/ Legato a macchine che mi tengono in vita / Tagliatemi via questa vita /
Trattengo il respiro e desidero di morire / Oh, Dio, ti prego, aiutami]
Durante e dopo l’ascolto di One vi garantisco che chiunque voterebbe
a favore dell’eutanasia, perché ci si sente fisicamente male ad immaginare di
vivere anche solo una settimana l’incubo (che potenzialmente si protrarrà anni)
del suo protagonista, e in fondo si può vedere la “dolce morte” come l’esaudimento
del desiderio e della volontà di quest’uomo, che a gran voce, seppure solo
nella sua mente, grida e implora di morire, continuamente, in modo straziante, per
tutti gli otto minuti della canzone.
Ma, proprio perché non c’è modo di
comunicare dall’una e dall’altra parte di questa barriera fatta di oscurità e
silenzio, siamo sicuri che morire sia quello che tutte le persone in questa
condizione vogliono? E – ancora più importante – siamo sicuri di avere il
diritto di uccidere un altro essere umano, anche se in queste condizioni [che a
noi sembrano] disumane?
In fondo, se Ride the Lightning ci ha convinto, e fortemente anche, che la pena
di morte sia una cosa atroce, e che non abbiamo il diritto di uccidere nemmeno
un assassino, a maggior ragione perché dovremmo uccidere un innocente?
Fermo qui la mia riflessione, almeno
per iscritto, perché non voglio tediarvi oltre e perché io stessa non ho –
ovviamente – risposte. Al momento, anzi, ho ancora un atteggiamento
contraddittorio nei confronti dell’eutanasia: vorrei, se mai dovessi trovarmi
in una situazione del genere, morire, anche se questo dovesse somigliare più ad
un’esecuzione tramite iniezione letale che all’interruzione di un accanimento
terapeutico, ma d’altra parte non potrei mai chiedere la morte di nessuna
persona a me cara, nemmeno se da anni incatenata ad una macchina che la tiene
in vita.
Ora la smetto davvero, promesso, grazie di essere arrivati fin qui… adesso
per un po’ solo post frivoli, giuro! ^^
Non conoscere l'inglese mi taglia fuori da praticamente tutta la musica che ascolti. La traduzione non dà le stesse sensazioni del capire immediatamente quel che viene cantato e, aggiungo, la tua musica mi mette i brividi... ma in un altro senso :-(
RispondiEliminaSai bene come non apprezzi affatto il genere che tu ami, io che sono cresciuta a pane e De André (e scusa se è poco...).
Fatta questa premessa, ben venga tutto ciò che ci costringe a riflettere anche, o forse soprattutto, sui grandi temi, sugli interrogativi importanti nella nostra vita.
Perché la vita non si può esaurire con domande tipo "a che ora torni? Pranzi a casa? Come è andata oggi?" e via di seguito. Bisogna, ogni tanto, alzare lo sguardo e poi puntarlo in profondità dentro di noi, nella nostra coscienza.
Ben vengano, dunque, tutti quegli stimoli che ci fanno fermare e fanno crescere dentro di noi la voglia di approfondire, di pensare, ma soprattutto ben vengano gli interrogativi, i perché, i dubbi. Sapendo che quel che conta, alla fine, non è tanto trovare "la" risposta giusta, ma porsi le giuste domande.
Sai come la penso. Un po' pirandellianamente credo che la verità non abbia un'unica faccia, un solo lato. Dipende sempre da come si guardano le cose. Importante però è non crearsi alibi, non darsi giustificazioni per scegliere soluzioni "comode", per imboccare la strada più corta. Dei quattro giorni che passiamo su questa terra non rimarrà nulla se avremo accontentato solo il nostro egoismo. Ogni essere umano è unico e irripetibile e il valore della vita non è misurabile, né tantomeno valutabile in termini di "costi e ricavi" per lo Stato o per chicchessia.
Ecco, come sempre mi sono lasciata andare a una delle mie famose prediche. Ma stavolta la colpa è tua, che me l'hai servita su un piatto d'argento :-)